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      S'era un sudra, e aveva la temerità d'intrudersi nella parentela d'un bramino, la legge ordinava di mutilarlo, poi di arderlo a lento fuoco, steso sopra ferro rovente. Era un abominio che un sudra osasse porsi su la sedia sacra d'un bramino; era una contaminazione che uomo d'altra casta toccasse un bramino, o un cibo o una bevanda a lui destinata, o si accostasse a raccogliere le reliquie della sua mensa. Il bramino che avesse accommunato i sacri misteri al sudra, insegnandogli con quali riti potesse espiar le sue colpe, o leggendogli i libri sacri, cadeva seco lui nell'eterno abisso. Il supremo dovere di re e di magistrato era d'onorare i bramini; il re, se anco fosse divorato dalla fame, non poteva prender loro cosa veruna; e quando li avesse convinti di qualsiasi più atroce misfatto, non poteva mai punirli altrimenti che con invitarli a partir dal suo regno, salvi della persona e dei beni. L'ira loro poteva [792] in virtù d'arcane parole precipitare nel nulla il re, precipitarlo nel nulla co' suoi cavalli ed elefanti: la loro parola poteva dare al mondo altri re. E ben lo aveva saputo il re Nanda.
      V'è una sola via, per la quale un uomo d'altro sangue possa elevarsi a pareggiare la sublime natura d'un bramino; ed è quella del jogeo o penitente, che lasciando ogni cosa più diletta, si mette in un deserto a vivere di radici, giacendo su la nuda terra, intonso la barba e i capelli, scendendo tre volte al giorno a purificarsi nelle acque d'un fiume sacro, compiendo ogni giorno i cinque sacrificii, e meditando con taciturna assiduità i quattro Veda.


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Dell'India antica e moderna
di Carlo Cattaneo
pagine 63

   





Nanda Veda