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      Inoltre si vincolò al commune l'opera dei varii artefici e trafficanti, che in ogni altro paese sono [799] lasciati al libero corso della concorrenza, come il fabro, il falegname, il vasaio, il lavandaio, i venditori d'olio, di cuoio, di funi. E non solo i magistrati cessarono d'essere elettivi, ma tutti questi officii a poco a poco trapassarono in eredità e si legarono a certe discendenze. L'uomo adunque, in qualunque remoto casale dell'India la sorte il facesse nascere, si trovò rinchiuso e confitto al suo luogo, e per così dire ordito e tessuto nella casta e nel commune; e trovò irrevocabilmente determinato tutto il tenore della sua vita e de' suoi pensieri per sé e per i più remoti suoi posteri, con iniqua e stolta infrazione di quelle leggi di natura che impressero in ogni essere umano sì varie attitudini e sì libere inclinazioni. Sotto quell'universale impiombatura, il più generoso cuore doveva battere senza speranza, il più sublime ingegno doveva languire e spegnersi, senza aver dato una scintilla della divina sua luce. Eppure dotti metafisici dissero ai nostri giorni, e i non dotti interminabilmente ripeteranno, che l'Asia è la patria del libero e dell'indefinito (14).
      Ogni capo-villa trasmetteva il reddito al capo-distretto; questi, secondoché il suo territorio contava dieci communi o venti, riteneva per sé il frutto di due poderi o di cinque; il prefetto di cento communi riteneva il reddito d'un commune intero; e il prefetto di mille aveva in godimento una città, e inviava le altre dovizie della provincia al re.


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Dell'India antica e moderna
di Carlo Cattaneo
pagine 63

   





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