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      Per me, sono persuaso che stava in noi di trovargliela, e di fargliene precetto, atteggiandoci ad un'esigenza ragionata, misurata, inesorabile. Ma era ben difficile il tenere siffatto modo, fra il caldo degli animi, e in popolo tanto inesperto.
      Al contrario, la fazione retrograda, volendo solo vendicarsi dell'ingratitudine austriaca, volendo solo l'indipendenza esterna e non la libertà, aveva più semplice impresa. Ella doveva solo figurarsi tornata al 1814: e questa volta, invece dell'esercito austriaco, doveva chiamar quello del re Carlo Alberto. La questione ch'essa doveva sciogliere, non era quella d'una rivoluzione, ma d'una guerra. Della libertà e del progresso ella non si curava punto ; il nostro popolo era anzi per lei già tracorso soverchiamente ; e avrebbe voluto ritrarlo agli ordini antichi, facendo communela colla nobiltà savoiarda. Non si trattava d'altro adunque che di sospingere il Piemonte a romper guerra all'Austria. Al che faceva mestieri dimostrare quanto agevol opera fosse divenuto il conquisto di Lombardia, e quanto propizio il tempo; bastava mettere in palese l'avversione concepita dai popoli al governo; insomma bastava fare dimostrazioni. Il fare ordinamenti efficaci, il predisporre armi, munizioni e capi, erano cose nei disegni di quella fazione affatto superflue, anzi pericolose; poichè le armi in mano di popoli agitati sarebbero state agli intendimenti suoi novello inciampo.
     
      Codesto principio delle dimostrazioni si affaceva anche alle mire dei generali austriaci, porgendo loro un titolo a chiamar da Vienna straordinarie facoltà; perocchè a raffrenare un popolo tumultuante, il governo avrebbe posto ogni cosa in mano all'autorità militare.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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