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      A S. Francesco da Paola, vidi il cadavere ancora spirante d'un soldato, che un giovine, balzando fuori da un vicolo, aveva disarmato e coll'arme stessa ucciso, sotto li occhi d'un intero battaglione.
      La penuria delle armi dava un aspetto singolare alla pugna; poichè il popolo non le voleva vedere in mano di chi non gli paresse ben esperto a maneggiarle. Rare volte si spendeva un colpo, dove la vicinanza del nemico non lo rendesse quasi certo.
      Al quartier generale si distribuiva ai combattenti la polvere quasi a prese; contenti d'averne anche solo per uno o due colpi, correvano a lontane barricate; poi tornavano a cercarne ancora. Alcuni studenti, ai quali si dimandò perchè non tirassero se non di concerto e l'uno dopo l'altro, risposero che temevano di spendere due tiri per uccidere un Croato solo. Il nostro foco era dunque lento e raro, ma micidiale, mentre il nemico, ridondante d'armi e munizioni, e manifestamente sgomentato, prodigava il suo, cacciando le palle di cannone a fracassare fin presso al tetto balconi e finestre. Intorno alle barricate, i ragazzi facevano mille burle al nemico, sviando il suo foco sopra qualche gatto, o qualche cappello calabrese confitto sopra un manico di scopa, e dando così agio ai nostri d'appostarlo con maggior sicurezza. Radetzki, nella sua relazione, attribuì l'efficacia della nostra difesa, non a questa cura nostra di fare il miglior uso delle poche forze, bensì alla perizia d'officiali stranieri ! Ma dopo il terzo giorno, dopo la presa di tanti edificii, nei quali il nemico aveva accumulato molte materie di difesa, quella penuria ebbe fine.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





S. Francesco Paola Croato Radetzki