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      Mi dimandavano s'era vero che colle bombe avessero già disfatto il Duomo. Più inanzi, famiglie d'amici miei erano talmente serragliate per salvarsi dalle palle le quali trapassavano finestre e usci, che in mezzo al vicino rimbombo ci fu forza vociferare più d'un quarto d'ora per farle affacciare alle finestre ad assicurarsi ch'eravamo amici. Ma non appena ebbimo fatto intendere che dovevamo solo spingere attraverso alla via carri e carrozze; e quasi per incanto balzarono fuori d'ogni parte giovani armati; e ancor prima di chiudere bene quei ripari, bersagliavano audacemente i nemici accosciati sull'orlo del bastione. Il coraggio è attaccaticcio come la paura. Intanto file di donne, traendo a mano i figliuoli, e recandosi sotto il braccio il fardello delle cose più care, uscivano dalle case ov'erano assediate, era già il quinto giorno; e chine dietro le barricate e per i fori delle muraglie, si avviavano in salvo, rendendoci affettuose grazie che fossimo venuti a levarle di mano a quei mostri.
      Traforando un altro muro e strappando un'inferriata, giunsimo dopo mezzodì entro l'ampio recinto della dogana di Viarenna, che tocca il bastione, e lo domina in luogo ove non è più largo di cinque a sei metri. Il Naviglio che esce dalla città, passa quivi per disotto al bastione; ma i gabellieri erano fuggiti colle chiavi del cancello; e si fece vana prova di forzarlo. I giovani impazienti cominciarono, contro le mie istanze, a tempestare dalle finestre della dogana il bastione, abbattendo anche alcuni ussari che portavano ordini; il nemico s'accorse che si stava per aprir quivi la città; i Reisinger per una viuzza laterale accerchiarono la dogana.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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