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      Le turbe dei contadini stavano immote come greggie a rimirare i cocchi e i mobili pomposi accavallati in mezzo alle vie, li spezzami delle tegole sul terreno sconvolto, le mura crivellate dalle palle, le logge di granito spaccate dal cannone, le reliquie tuttavia fumanti dell'incendio, i cadaveri stesi da riconoscere nelli ospitali, o malsepolti in Castello e abbandonati nelle fosse; e in mezzo a tanti orrori, mover serene quelle donne, che colle mani loro aveva divelto i selciati e caricate le armi, e quel popolo placido e faceto, che godeva a udirsi dire valoroso e vittorioso da quei duri uomini dei campi e delle montagne.
      Ma la turba oziosa per poco non mutava quel terribile momento in uno spasso da carnevale. La folla e la confusione ci crescevano impaccio nel dare alloggiamento ai volontarii e viveri e armi; laonde ci parve mestieri fare a buona distanza della città quasi un cordone, che diradasse quanto si poteva l'arrivo delli uomini disarmati. E invitammo il governo a ordinare alle communi di trattenerli alle case loro quanto si poteva. Lo invitammo anche a inviare in ogni distretto uomini capaci di volgere a frutto quell'ardore dei popoli. Ma di ciò non si fece nulla.
      Una compagnia di cittadini s'incaricò di vegliare notte e giorno il circuito delle mura, e andar fuori pattugliando sulle strade maestre; cento Bresciani s'incaricarono d'esplorare armati a maggior distanza; un'altra compagnia si avviò verso Melzo, per raccogliere certi Croati vagabondi, e certi cannoni affondati fra le risaie.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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