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      Una compagnia d'ingegneri fu deputata a sopravedere le barricate in città; e un'altra a curare che nel premunire le strade al di fuori, non si facesse superfluo guasto delle piantagioni e costruzioni publiche e private.
     
      Nello stesso primo giorno della nostra libertà, invitammo i cittadini a dare il nome, o nella guardia civica, o nelle colonne mobili che dovevano occupar subito le Alpi. Non si potevano volgere a più adatta impresa quei giovani, tanto generosi quanto inesperti dell'arte militare. Su quell'aspra frontiera, potevano ad un tempo combattere e studiare, costringendo intanto il nemico a far la guerra in paese sterile, e a tutta sua spesa; epperò con pochi soldati, e con nessun vantaggio de' suoi cavalli e delle artiglierie. E il nome stesso delle Alpi, e del confine d'Italia, e dell'italica fraternità, doveva accendere le menti. Ed è l'idea che vincerà tutte le altre, le quali dai cortigiani vennero poste inanzi; ma non sono di lunga mano eguali di grandezza e semplicità e verità.
      E i giovani, quanto più culti, accoglievano tanto più volonterosi quell'invito alla guerra delle Alpi. E anteponevano mettersi a spalla la carabina, all'andare colle insegne d'officiali recando fra le moltitudini armate il frutto dei loro studii.
      Pure, l'esperienza mi ha persuaso non doversi commendare l'istituzione dei battaglioni academici e delle legioni sacre, irrilevanti sempre per numero fra le masse inerti. Egli è come se in corpo vivente si separassero i nervi dai muscoli; l'intelligenza non ha dove incorporarsi; e la forza rimane senza lume e senz'impeto.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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