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      Metteva impaccio di mille sottigliezze all'armamento. Nel primo giorno della nostra liberazione, i nostri commessi avevano comperato in Lugano quattrocento fucili, i soli che vi si trovassero in quel momento; e il governo tergiversava al pagamento, onde estorcere un'agevolezza di mezza lira per fucile; e intanto il cannone di Radetzki tuonava a Marignano; e quella terra era in fiamme.
      Noi avevamo naturalmente dato ai nostri l'uniforme verde ch'è il nazionale d'Italia; ma il governo provisorio voleva di queto metterci addosso la divisa dei soldati del re. Certo doleva a quei retrogradi che risurgesse colla tradizione dei gloriosi suoi colori l'esercito ch'essi nel 1814 avevano tradito all'Austria. E citavano frivole scuse, ora dicendo che il panno verde non si sarebbe trovato; ora dicendo che quello era il colore men di tutti durevole. - Vedrà bene un giorno quella gente servile il verde della bandiera d'Italia sventolare al sole della libertà, quando la croce bianca e la coccarda azzurra saranno ricordi d'un tempo che non ritorna.
      La nostra gioventù non volle vestire altro colore che il verde!
     
      Il 25 marzo fu dato dal governo provisorio il comando del futuro esercito a Teodoro Lechi. Negò egli ai volontarii la licenza di combattere, citando la regola vecchia di non opporre in campo aperto gente irregolare a soldati regolari. E fosse pure; ma siccome non avevamo altra gente, egli era come dire che per allora non si combattesse più. E spinse l'osservanza della sua regola fino a lacerare li ordini, che avevamo spedito ai volontarii prima della sua nomina a comandante.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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