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      - Come regnante e membro della santa alleanza, doveva, in prezzo del soccorso, esigere che le città venete ripudiassero il principio republicano, e abbandonassero Venezia, ove questa pure non facesse divorzio colle tradizioni della passata sua sovranità. - Come conquistatore della Lombardia, e bisognoso di farsi perdonare dalle altre corti quella rapina, doveva immolare le città venete, e far sul Mincio una pace da egoista. Anzi gli era opportuno far seminare da' suoi generali il disordine nelli alleati di Romagna e di Napoli; essendochè non potevasi far la pace sul Mincio, finchè per essi si continuasse la guerra di là del fiume. Diveniva pertanto suo piano di guerra: - rimaner sempre intorno al Mincio, sempre affettando di voler avviarsi alle Alpi, - far la guerra di principe, sempre affettando di far la guerra di nazione. Tristo e temerario pensamento, privo di gloria e pieno di pericoli; poichè bisognava esporsi a tutti i casi della sconfitta, senza tentare tutti i casi della vittoria. Questa politica ancipite e mozza è nei reali di Savoia naturale e antica; e non è meraviglia se camminando senza volontà chiara e fra perpetue contradizioni, quegli ipocriti spesero dieci secoli ad acquistar quattro tappe di regno. Se Carlo Alberto si fosse fatto sinceramente e deliberatamente campione dell'Italia, senza più badare a ingordigie o paure di principe, avrebbe mirato a dirittura alle Alpi; avrebbe difeso fraternamente le città venete, armato il Tirolo, il Cadore, il Friuli, l'Istria, la Dalmazia, affrontato Nugent sull'Isonzo, costretto i Croati a cader di fame sulla squallida loro frontiera.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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