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      Era poi falso che non vi fosse per il Lombardo-Veneto e i Ducati cispadani veruna alternativa fuori di quella della republica o della sommissione a Carlo Alberto. Perocchè nulla impediva che costituissero più principati: o un solo: o che aderissero alla Toscana; il qual ultimo disegno avrebbe rimosso parecchie difficoltà diplomatiche; poichè la casa d'Austria non rimarrebbe spossessata, ma solo distribuirebbe in nuovo modo i suoi possedimenti. E perciò vi sarebbe stato meno a combattere prima, e meno a temer poi; e otto millioni d'anime, da Venezia all'Elba, facevano un regno bastevolmente forte per terra e per mare, e certamente meno gesuitico, e men feudalesco, e più libero, e anco più italiano. Nè dico che ciò fosse a fare, ma dico che il dilemma Bixiano era fallace e sleale. Ed era sempre indecoroso che i cittadini di Genova confessassero di tradire il loro sangue e rinegare la nobile loro natura; dovevano tacere, o combattere. O almeno, lasciarci combattere da noi, così come s'era incominciato.
      Da ogni città d'Italia i regii sollecitatori si davano ricapito in Milano; e coll'aiuto del governo, convocavano, senza pudore, a publiche deliberazioni nel circolo costituzionale di S. Redegonda i loro seguaci. Di là mandavano offrendo impiego e patrocinio ai bisognosi; agli agiati, nobiltà di corte e spallini d'argento e d'oro; titoli più sonori e più buffi ai già titolati; accuse e minacce ai ritrosi. Facevano venire con grande aspettazione l'abate Gioberti, che, per mezzo d'un Massari da Napoli suo portavoce, teneva dal balcone della locanda quaresimali contro la republica e contro l'alleanza francese.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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