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      Infine il governo, dandoci a mordere l'esca genovese, si millantava che i fratelli di Torino "non altro anelando che d'aver consorti i Milanesi, fossero pronti a rimoversi in lor favore delle più legitime ambizioni".
      Composto il governo provisorio con frammenti di congregazioni e municipalità, scaturito pertanto dall'Austria e non dal popolo, si era patteggiato la tolleranza dei combattenti col promettersi neutrale. Era come una sicurtà lasciata dalla parte forte e generosa alla greggia delli imbelli e delli avari, non ansiosi della patria, ma solo della quiete e della roba. Erano corsi dalla promessa soli cinquanta giorni; la guerra non era vinta, anzi volgeva manifestamente al peggio; era chiara l'impotenza del re; la questione della forma di governo non era discussa, nè tampoco proposta; la rappresentanza nazionale non era convocata; la legge elettorale era ancora un secreto d'officio. Il decreto adunque che infliggeva ai cittadini il perentorio precetto di votare entro due settimane, contro la fede, senza lume di discussione, senza sussidio alcuno di rappresentanti del popolo, e prima che la condizione suprema della pace e della vittoria si avverasse, era flagrantemente invalido. Venne poi a constare invalido dal fatto; poichè non solo non adempì "alla suprema necessità che l'Italia intera fosse liberata dallo straniero, e continuata la guerra dell'indipendenza"; non solo non apportò indipendenza, nè libertà; ma disfatta, e ignominia, e tradimento. E il "guardiano glorioso" non vide mai tampoco quelle porte delle Alpi che doveva difendere; e riconsegnò di persona al barbaro le porte stesse della nostra città.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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