Pagina (131/315)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      La votazione dei 12 maggio era dunque, presto o tardi, un patto di guerra civile.
      Ella era peggio. Poichè, ponendo il paese in arbitrio altrui, facendolo roba di re, da darsi e torsi a piacimento, al gioco della guerra politica e della diplomazia, e sopratutto consegnandolo a mano istoricamente perfida, lo diede fin d'allora al nemico. Il governo provisorio, per quanto era in lui, consumò sin da quel giorno il tradimento.
      I contadini, i quali dal dì del loro nascere non avevano sotto il governo dell'Austria udito mai verbo di politica, furono chiamati d'un tratto al suffragio universale presso i curati, ai quali i vescovi, non eletti dai fedeli ma dall'Austria, avevano comandato di fare ciò che il governo avrebbe detto. Si lasciarono votare i forestieri, e le tante migliaia di Piemontesi e Genovesi ch'erano in Milano (compreso il mio cuoco ch'era da Gambolò). Si fecero votare li officiali piemontesi, intrusi allora allora nei nuovi reggimenti, e in presenza loro e sotto le loro monizioni e minacce i soldati; l'ordine del ministerio della guerra era così villanamente imperioso che si dovè mutare. Per affettazione di puntualità si fecero votare perfino i condannati in presenza dei loro carcerieri, e con promessa d'indulgenze. I mendicanti ebbero a far la croce, sì se volevano aver poi l'elemosina o l'entrata all'ospedale, come publicamente loro si diceva. Alli avventori del confessionale, in certe parochie si minacciò il rifiuto dell'assoluzione; alli avari minacciarono multe; ai timidi si scrisse morte sul muro della casa.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





Austria Austria Piemontesi Genovesi Milano Gambolò