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      87. - Una trentina di vigliacchi si abbandonarono distesi al suolo, protestando di più non poter proseguire la marcia; preferirono di venir calpestati dai cavalli. Erano taluni rassegnati a soffrire ogni danno, fosse anche la morte, senza dolersi, senza far motto: purchè non si trattasse di combattere. Questa ostinazione era desolante; ma era nel tempo stesso una prova di più, come nei rovesci della guerra resti poco a sperare da un sistema militare, il quale non porge all'esercito che padri di famiglia"(48).
     
      Come potessero poi codesti soldati delle provincie aver odio a un nemico che non avevano mai visto, se non come amico e alleato del loro principe contro la Francia e contro l'Italia, come potessero avere il furore dell'indipendenza italica, non si vede. Il re, coll'opera dei ciambellani, dei gesuiti, dei fratelli ignorantini, delle dame del sacro core, li aveva tenuti in tenebre e in gelo. Ogni voce che sonasse di libertà e d'Italia, era stata per molti anni ferocemente strozzata in gola alla gioventù dai satelliti regii. E si doveva morire per quel vessillo tricolore, l'avere un lembo del quale, nascosto nel più secreto penetrale della casa, era pochi mesi addietro un delitto di morte? Se il re voleva giovarsi di quei colori per fare una conquista, doveva ben prima d'allora, aver simulato di pregiarli e onorarli!
     
      Intanto che le nostre fortune, la vita e l'onore erano appoggiati a sì fragile canna, i settarii del re, invece di sollecitare notte e giorno il popolo ad armarsi, e avventarlo senza indugio contro il nemico, e chiudere le alpi, e mettere in disperata difesa città e campagne : fomentavano nei cittadini una mendace sicurtà; e giuravano loro anni gloriosi e sereni, purchè solo andassero a deporre nei muti registri il sacrificio della libertà. Chi non apprezza la libertà, si rassegni a vivere servo.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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