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      Uno scritto, che il governo millantò segnato da diecimila firme, diceva: "Officiali e soldati! Il vostro marziale entusiasmo, la vostra mirabile disciplina, il vostro eroismo e quello di chi vi guida nella vittoria, ci rallegrano e c'inorgogliscono! Poichè nostre sono le glorie, come nostre e vostre sono le speranze e le vittorie di tutti i figli d'Italia. - Noi ci studiamo di consolidare colla concordia, coll'unione, colle civili virtù l'opera dei vostri bracci gagliardi, delle vostre formidabili spade! - Sia lode immortale all'esercito d'Italia ed al suo gran capitano!"
      E le povere donne, che furono anch'esse distorno e inciampo gravissimo a chi voleva davvero salvarle, sollecitate dai regii facendieri facevano eco a quelle insensate tumidezze; e scrivevano alle donne piemontesi, glorificando "quei guerrieri, di cui avevano ammirate le splendide assise, l'aspetto marzialmente severo, (le infelici non sapevano delli spallini messi in tasca a Santa Lucia), quelli animosi guerrieri, che avevano già sul Mincio gloriosamente affrontate le palle dell'Austriaco, a cui era assegnato il posto d'onore nella gran battaglia dell'indipendenza italiana".
      E chi vedeva imminente, terribile, il pericolo della patria, chi sapeva la vanità di quelle adulazioni, e la debolezza di quella regia larva, era additato nemico della patria, e consigliato all'esilio, e minacciato di pugnale! - Nessun popolo si avventò mai più ciecamente e sordamente nel precipizio; nessun popolo fu mai sì voglioso della sua ruina.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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