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      Il governo cominciò a disanimare i veggenti, dicendo fin dal 13 aprile: "l'esercito piemontese conserva la linea del Mincio". Pareva che non fosse il caso di conservare ciò che per noi già s'era preso; ma di prendere pur qualche cosa. Si fece, quello stesso giorno 13, un puerile tentativo di sgomentare il vecchio comandante di Peschiera col rumore di venti pezzi d'artiglieria da campo; poi gli si mandò un parlamentario a intimargli la resa, che fu naturalmente negata.
      Trovandosi intanto, dice il Bava, la guarnigione di Mantova mal proveduta di viveri, alcuni distaccamenti operavano frequenti sortite per procacciarsene nel dintorno; cosicchè rapivano alli abitanti, non solo cereali e bestiami, ma tuttociò che veniva loro alle mani.
      (59). Condusse infatti il nemico a Mantova, in una sola razia, mille e duecento bovi. Perchè non avevano pensato i regii a porre quei bestiami in salvo? Perchè non perlustrarono tosto tutto il circondario della città, facendo rimovere a considerevole distanza i viveri e i veicoli, poi interrompendo le strade, e facendovi ripari, coll'opera dei popoli ancora infervorati? Solo il 19 d'aprile, pensarono essi "d'accostarsi alla piazza, per fare prigionieri alcuni posti, non senza lusinga che un tal movimento potesse risolvere la popolazione a sollevarsi contro il presidio"(60). Ma non pensavano che un mese era stato troppo lungo intervallo per un popolo rinchiuso, in balia del truce nemico già riavuto dal digiuno e dallo spavento. Il generale si lagna a torto che quei popoli si mostrassero freddi; il freddo spirava dal campo del re.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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