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      Senonchè i Veronesi in quei giorni, per la debolezza del presidio, s'erano messi in pensiero d'assalirlo dal di dentro, e sforzare qualche parte del vasto recinto; e si erano tanto infervorati, che mandarono persona a dire al re, che lo avrebbero tentato, ancora il dì seguente, "se noi, come dice il generale, avessimo fatto impeto con forze considerevoli, non ostante che il maresciallo nella mattina stessa fosse entrato con rinforzi. - Sua Maestà aderiva a così lusinghiere speranze; e ordinavami d'impartire all'esercito le disposizioni necessarie, per l'attacco nel mattino vegnente. - Sulle due del matino, fui dimandato dal re. - Vi trovai il sopradetto abitante; il quale mi disse che essendosi trasferito a Villafranca, per dare ai cittadini il noto segnale consistente in un gran falò, il comandante della piazza non glielo aveva voluto permettere. - Sua Maestà, a fronte di questo malaugurato contratempo, e del ritorno in Verona del maresciallo, m'impose d'ordinare il ritorno delle truppe ai loro alloggiamenti"(79). Fa poi sdegno il vedere la perfida loquacità, colla quale i regii manifestano colla stampa al nemico la congiura dei settecento veronesi, come se questi infelici non fossero ancora in potere del nemico e il loro secreto non fosse in balìa delle sue torture. Italiani, se volete liberarvi, non vi affidate a quelli uomini e ai loro tarlati e depravati sistemi.
     
      Intanto Zucchi, chiuso in Palma Nova, non faceva quanto aspettavasi dal combattente di Raab, dal capitano che nella campagna di Sassonia aveva sempre sostenuto i pericolosi onori dell'avanguardia o della retroguardia.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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