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      L'esercito si scioglieva. I generali, conoscendosi pur troppo fra loro, non si fidavano; facevano da sè, immoralmente, come avevano imparato dal loro capo. Aix di Sommariva colla brigata Aosta, e De Ferrère colle brigate Casale e Aqui, ch'erano le più intere e fresche, sia per ordini arcani, sia per turpe infedeltà, lasciarono le altre in faccia al nemico, e se ne andarono all'opposta riva dell'Ollio. A sera, il re passò in rassegna il rimanente; verso mezzanotte, levò il campo; e in tre colonne si avviò verso Cremona.
      Il 28 si fecero dodici ore di marcia; molti cadevano spossati sulla strada; la terza divisione, giunta all'Ollio, e udito nuovamente il cannone, cominciava a disfarsi. Ma li officiali di Savoia, raccolti li uomini intorno alle insegne, li esortavano a non abbandonarle; li schierarono in quadro dietro il fiume; trassero a sè col forte esempio l'artiglieria e la cavalleria; imposero rispetto al nemico; serenarono presso Piàdena. Frattanto interi battaglioni, nella funesta persuasione della sfortuna e della mala direzione, e nella licenza delle marce notturne, gettavano armi e valigie, e si spargevano per le strade a sgomento e confusione dei popoli.
      I generali, chiamati a consiglio, deliberarono d'aprire al nemico tutta la loro sventura, e chiedergli che sospendesse il corso della vittoria, e concedesse loro di ritirarsi in pace. "Volevano, dicono essi, pur con qualche condizione onerosa, aver tempo di riposare le truppe, e riordinare un servigio di viveri più regolare e più esatto"(85). Erano le ragioni per le quali Radetzki, alla volta sua, aveva pur chiesto armistizio ai Milanesi; e per le medesime ragioni ora doveva negarlo.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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