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      E non ostante la vittoria, l'Austria, per ristaurarsi in Milano prontamente e prima che altro nascesse, aveva necessità dell'opera di lui, e doveva essergli ben grata.
      Infatti, se Milano fosse apertamente abbandonata dal re, appunto nel terrore della vendetta nemica e dell'inevitabile vituperio, poteva attingere la forza d'una magnanima disperazione. Infine l'esercito che veniva ad assalirla, battaglione più, battaglione meno, era il medesimo ch'ella aveva quattro mesi inanzi vomitato fuori dalle sue mura. Se aveva potuto conquiderlo allora, quando era padrone delle piazze e delle porte, e la fulminava dal castello e dal duomo, ed ella era senz'armi e senza capitani, non poteva soggiacergli senza contrasto ora, che i suoi cittadini s'erano armati e ammaestrati, ora, che lo straniero cominciava il combattimento fuori delle mura, tra un labirinto di fosse e di prati aquidosi, al sole e alle febri d'agosto. Il popolo aveva solo a imaginarsi, che il dì del ritorno dei nemici altro non era che il sesto giorno del primiero combattimento. L'intervallo dei quattro mesi si era lasciato al re, perchè vi facesse le sue prove. Adesso, che si era dimostrato quanto valesse il regio fantasma, il popolo riposato e armato poteva cominciare da capo un'altra delle sue settimane.
      Per armarsi non era necessità, come nei cinque giorni, svellere i fucili di mano al nemico. V'erano 28 mila soldati, in gran parte veterani, ammaestrati dal nemico stesso, buoni per lo meno quanto l'altra sua gente. Vi erano quattordicimila volontarii e studenti, che avevano già durato più mesi ai pericoli e ai disagi; l'esser chiamati a difendere una città doveva parer loro un riposo.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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