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      Nè si trattava di vincere battaglie campali, ma sì d'indugiare il nemico e acquistar tempo. E il buon senso naturale mise allora nell'animo di tutti il medesimo pensiero, di difendersi quanto si poteva, e frattanto far publica chiamata al popolo francese. Ma il re, nemico più al nome republicano che non a suoi parenti d'Austria, appunto non lo fece; e finse gesuiticamente di farlo, mandando in Francia il Ricci, per mera mostra; anzi peggio. Poichè, come afferma il colonnello Ludovico Frapolli, era all'intento, "non già d'operare di concerto con noi, ma bensì d'addormentarci, e procrastinando impedire ogni risoluzione del governo republicano". E affinchè i cittadini per avventura non facessero la dimanda da sè, fece dire dal governo provisorio, il 31 luglio, che "a rinforzare l'esercito italiano si aveva lusinga che presto giungesse l'aiuto francese, stato formalmente dimandato dal ministerio piemontese e dal governo provisorio di Lombardìa". Quanto al ministerio piemontese, era un'impostura; poichè anzi, come narra Frapolli, "la demenza delle camarilla s'accrebbe verso la fine di luglio al punto di far intendere alla Francia, che, se il generale Oudinot non sapesse rattenere i suoi soldati, sarebbero ricevuti a cannonate al Forte Damian, vantandosi che il re teneva a tal uopo da cinque a sei mila uomini nelle gole del Moncenisio!". Quanto al governo provisorio, fu infatti inviato a Parigi anche il marchese Guerrieri, uno de' suoi membri; e si lasciò per qualche tempo tenere a bada dal Ricci; finchè incalzato dalli altri Italiani che là erano, e che sapevano dal ministro Bastide che non si era fatto nulla, ne mosse particolare dimanda a nome nostro; ma tardi, poichè il re aveva già consegnata Milano al nemico; era già il nefasto giorno 6 d'agosto.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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