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      Frattanto si dimandò all'Olivieri, come non si fosse messa una parola per assicurare i nostri soldati e le guardie nazionali. Olivieri, dopo lungo circuito di parole, conchiuse poter essi seguire l'esercito come individui. Capretti gli rispose: "Dal momento che fu accettata la fusione, noi abbiamo il tristo diritto, che però non credo sarà riclamato da alcuno, che l'esercito piemontese sia tenuto una cosa sola col nostro e colla guardia nazionale". Olivieri disse che avrebbe ordinato l'esercito in tre colonne, e avrebbe accolto nel mezzo le guardie nazionali che volessero accompagnarlo. Capretti rispose, che se più della metà del suo battaglione avesse deliberato d'andare in Piemonte, egli l'avrebbe seguito; ma ciò non essendo, egli prenderebbe quella via che gli paresse più opportuna alla sua salvezza e all'interesse della patria. Olivieri si rivolse a' suoi confratelli, dicendo : "qui è un caso nuovo; il maggiore ritiene ch'essi possano ritirarsi in quella via che più loro piace, come sarebbe in Francia. Io credo di no; perchè nella capitolazione è detto che devono seguire, l'esercito piemontese, anzi per la strada di Magenta. Che ne dite voi?" E tutti li altri confratelli risposero, non esservi dubio.
      Si dimandò allora se il marchese Pareto non tornasse colla dichiarazione del re. Uno dei generali crollò il capo dicendo che il re già partiva. - Tutti allora uscirono precipitosi.
     
      Il funesto annuncio correva già sordamente per la città. Pure una scellerata dissimulazione continuava la vile comedia della difesa.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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