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      Alcuni generosi intanto volendo, almeno col proprio sangue, onestare quella indecorosa fine, uscivano a bersagliare una volta ancora il nemico, che lentamente veniva occupando i luoghi lasciati vacui dai soldati del re. Ma il Bava, dic'egli, fe' cessare benchè "con molta fatica, quelle inutili bravate"(102).
      Alle dieci della notte, egli mandò un certo Manzoli a esplorare a che punto fosse il re; poi si recò egli medesimo furtivamente fino alla piazza Belgioioso; e quando vide rari i cittadini, e finito il pericolo, andò a prendere soldati a Porta Orientale; e nel ritorno incontrò "fra le oscure e silenziose vie, tentone fra mezzo alle barricate" il re, che fuggiva a piede, seguito da bersaglieri e guardie. Dicesi che fosse uscito per una casuccia laterale, travestito da gendarme e menando a mano un cavallo, e raggiungesse in quell'arnese le guardie, che in agguato lo aspettavano. Camminò più d'un miglio, fino al collegio Calchi, accosto alla Porta Romana; ove almeno poteva avere aiuto anche da Radetzki. "Nel tempo convenuto, le truppe si trovarono in movimento, dice il generale, eccetto il battaglione che doveva consegnare al nemico la Porta Romana! A due ore, io partii dal collegio con S. M. a piedi; e c'indirizzammo a Porta Vercellina, in mezzo a nuove grida forsennate, che chiamavano il popolo alla porta medesima, per impedirne al re l'uscita. Seguimmo la strada delli spaldi (sono più di due miglia), fra spessi colpi di fucile, che si facevano sentire da tutte le parti, e il suono a stormo di tutte le campane, circondati da fitte tenebre, rotte solo di quando in quando dalla tetra luce dei molti incendii, che per spirito di malvagità e di rapina, si erano messi intorno alle case"; pag.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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