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      100. Si dimentica il generale d'aver narrato, poche pagine inanzi, che quelle fiamme erano preparate per comando suo, d'aver detto a pag. 91 : "intanto venivan prese, col pieno consenso del municipio, le occorrenti disposizioni, perchè se il nemico avesse obligati i nostri ad abbandonar quelle case, fosse il tutto pronto onde metterle in fiamme." Pare quasi di assistere alle confessioni d'un malfattore, fra le cui rotte e incoerenti risposte balza fuori involontaria la verità.
      Il brutto spettacolo non finì alle porte; poichè i contadini nulla sapendo della resa o d'altri siffatti avvolgimenti, accorrevano pur sempre alla difesa della città. Dice il generale, e sia questa l'ultima citazione dal suo libro: "i nostri soldati, incontrando contadini armati, chè lo erano tutti, ed erano frequenti, non vedevano in essi che sicarii pronti a sgozzare la vittima designata; e quindi senza far parola, li disarmavano, li cacciavano a terra, e così li tenevano, finchè fosse passato oltre il re"(103).
      All'alba del giorno 6, prima che i soldati di Carlo Alberto consegnassero a Radetzki la Porta Romana, più di cento mila abitanti, ch'erano stati fermi e sereni al tuono del cannone, si precipitavano fuori delle altre porte. Donne, infermi, bambini, famiglie povere che non erano state mai lungi dalle mura native, di trascinavano fra la polve delle strade e fra i campi, senza saper bene ove andare, o di che sostentarsi. I soldati piemontesi, raggiunti dalle miserabili turbe, si staccavano dalle bestemmiate bandiere per assistere i più infelici, portando fra le braccia li infanti che non potevano più reggersi in piedi.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





Carlo Alberto Radetzki Porta Romana