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      E forse la superbia cortigianesca, se avesse saputo aggiungersi li splendori d'una facile vittoria, non avrebbe poscia indugiato a ritogliere al popolo quelli involontarii doni; si sarebbe appellata di nuovo alli imprescrittibili e divini diritti della corona; avrebbe strappato l'arbore della libertà, prima che mettesse radice in quella terra sì nuova.
      Ma la sconfitta palesò la pravità delle istituzioni che tenevano servo un popolo forte. Le tradizioni feudalesche, che avevano colà per tanti secoli sopravissuto alle rivoluzioni d'Italia ed anche a quella di Francia, ebbero finalmente un crollo. Si chiarì quanto importi che i gradi dell'esercito siano dati al merito, non venduti dalli spioni, nè aggiudicati nelle anticamere e nelle sacristie. Se il soldato cittadino sarà d'ora in poi perseguito dai camerieri di corte, potrà farsi tribuno del popolo; comandare i battaglioni della guardia nazionale. Egli è tempo d'esigere la suprema di tutte le riforme militari: cioè, ridutta l'influenza dei patrizii nell'esercito alla proporzione medesima ch'è il loro numero nelle popolazioni, dalle quali si traggono i reggimenti. Perocchè l'esercito altro non debb'essere che la parte più giovine e più forte delle popolazioni; e deve pertanto rappresentarle quali sono, e senza preponderanza e soverchieria d'alcuno dei loro elementi.
      E quelle finanze non devono più lasciarsi rodere in mille modi da poche famiglie, che, sotto l'ammanto di molteplici titoli signorili, nascondono un'insatollabile identità. Il popolo paghi; non non solo per pascere l'alterigia de' suoi disprezzatori.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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