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      XV.
     
      Ma s'era quella una prosperità nuova e grande per questa estrema parte d'Italia, trattenuta in barbarie dai Celti, non così poteva dirsi della rimanente penìsola. La guerra sociale aveva abbattuto le bellicose contadinanze della prisca Italia. L'intera patria d'un pòpolo forte vedèvasi talora mutata in una squàllida possessione d'un solo patrizio, che non poteva sfruttarla se non colle braccia degli schiavi.
      I Cèsari, come capitani del pòpolo e promotori dell'emancipazione, si èrano recati in mano il comando delle armi, il pontificato, il tribunato e altre dignità divise una volta fra molte famiglie; ma per non alienare l'opinione che aveva dato loro quella potenza, esercitàvano le sìngole parti di quell'accumulata autorità, giusta le antiche fòrmule consacrate dalla religione e dal tempo. - Pur tuttavìa non era confidata loro dai senatori e commisurata, come quella dei moderni dogi; sotto nome e modi di magistrato, era conquista di vittorioso nemico. Nel secreto delle menti patrizie stava una profonda riprovazione, un indelèbile giudizio di illegalità, una ferma memoria dell'antica eguaglianza; epperò tra l'affettata popolarità e le parentele cittadine, il prìncipe confidava sopratutto nelle armi, e viveva nel sospetto. Quindi tutto mirava a inspirare in quelle superbe famiglie uno spìrito togato; i patrizj non dovèvano frequentare gli esèrciti; gli esèrciti èrano relegati lungo remote frontiere, dovèvano conòscere solo i loro capitani; la milizia diuturna, perchè l'Italia non s'empisse di veterani pericolosi; dura e pòvera, per la natura ancor selvaggia dei luoghi; molesta al cittadino, perchè cresciuto alle largizioni, agli anfiteatri, alla lìbera garrulità del foro.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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