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      E non essèndovi un prìncipe, in cui potèssero far capo i tre poteri civili, si cercò al di fuori un giùdice supremo, che fosse patrizio d'un'altra repùblica; e lo si chiamò podestà, perchè appunto rappresentava la mano regia, e colla forza di tutti sanciva la commune volontà.
      Cominciò un'era d'esaltazione bellicosa. In un castello del Lago Ceresio alcuni Comensi avèano ucciso due fratelli Càrcano di Milano; le vèdove e i congiunti vèngono sulla piazza del Duomo, mostrano al pòpolo le vesti sanguinose degli uccisi, implorando vendetta. Il vèscovo Giordano esce dal tempio, e pronuncia l'interdizione dei sacri riti, finchè il pòpolo non abbia lavato quel sangue nel sangue degli uccisori. La moltitùdine armata assale Como; gli abitanti, abbandonando a quel subitaneo furore la città, si rifùgiano sulla rupe del Baradello; poi, vedendo le fiamme accese dalla vendetta, si pèntono della loro debolezza; discèndono impetuosi; còlgono i nemici fra la confusione della vittoria, e li dispèrdono. Al ritorno, gli umiliati guerrieri giùrano sull'altare di non deporre le armi, se prima Como non è distrutta. Como arma tutti i suoi montanari, dai confini del Vallese a quei del Tirolo; i Milanesi tràggono seco una lega di dòdici città; navi armate combàttono sui laghi; artèfici genovesi fanno castelli da guerra, e altre màchine della romana milizia, obliate nell'abbrutimento dell'era gòtica. I Comensi, ridutti all'estremo, sàlvano su le navi le mogli e i figli, si chiùdono nel castello di Vico; e infine, dopo dieci anni di guerra, cèdono vinti, e inàlzano intorno all'atterrata patria le capanne dell'esilio.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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