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      XLVI.
     
      Fra questi estremi, sono le belle colline coltivate come il monte, ubertose come il piano. Quivi una contadinanza, la quale non possiede la sua terra, eppure non emigra, può tributare al padrone il frumento, divider seco il vino e i bòzzoli, e serbar tanto per sè da vìvere colla famigliola, e allevarla nel sèmplice tenore de' suoi padri. Quivi un commune è disseminato in venti, in trenta, in quaranta casali di vario nome, che la chiesa, posta sul poggio più ameno, raccoglie in un commune sentimento di luogo. Lìberi di coltivare la terra a loro talento, purchè non si defràudi dal pattuito frutto il proprietario, essi le sono affezionati come se fosse loro proprietà. Se il padrone si muta, il colono subisce la legge del nuovo; e talvolta una famiglia dura da tempo immemoràbile sullo stesso terreno. Tutto l'anno è un continuo lavoro; le viti, il gelso, il frumento, il granoturco, i bachi, le vacche, la vangatura e la messe, il bosco e l'orto danno una perenne vicenda di cure, che desta l'intendimento, la previdenza e la frugalità. Lavorando sempre in mezzo alla famiglia, senza comandare nè obedire, il contadino pur si collega al lontano commercio pel prezzo de' suoi bòzzoli, e pel lavoro che la seta porge alle sue donne. Nei siti meno lieti e più rìpidi, dove il cittadino non ama investire capitali, l'agricultore è spesso il padrone del suo terreno; e rappresenta quello stato sociale ch'era così sparso negli aborìgeni, quando fùrono i sècoli della maggior forza d'Italia e del più puro costume.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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