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      Il nostro dialetto, nei cordiali e schietti suoni del quale si palesa tanta parte della nostra ìndole, più sincera che insinuante, porta impresse le vestigia della nostra istoria, le orìgini cèltiche si manifèstano indelebilmente nei suoni; le romane nel dizionario; qualche lieve solco, lasciato dall'infeconda età longobàrdica, a gran pena si discerne, mentre vi giàciono inesplorate ancora le tracce di qualche cosa che fu più antico e più nativo dei Romani e forse dei Celti. I confini entro cui si parla questo linguaggio e gli altri affini suoi, rappresèntano tuttora la geografia dei sècoli romani; documento istòrico che attende ancora chi ne sappia trar lume ad ardue induzioni. Questo dialetto, inosservato all'Europa, ma parlato da più d'un milione di pòpolo, ha due sècoli di letteratura. Uòmini d'ingegno e di studj e d'alto affare si finsero plebe, affilàrono coll'acerbità popolare l'ottusa verità. Maggi, Tanzi, Balestrieri lo scrìssero non conoscèndone ancora la potenza satirica; Parini e Bossi vi apportàrono l'elegante àbito delle lèttere e delle arti; e Carlo Porta, poeta d'altìssimo ingegno, alla naturalezza del dipinto fiammingo congiunse la forza còmica di Molière, il frizzo di Giovenale, l'efficacia contemporanea di Béranger. Nella Fugitiva di Grossi il dialetto toccò gli affetti; e si conservò negli officj troppo necessarj della sàtira civile in Rajberti.
     
     
      L.
     
      Lo straniero vede chi noi siamo. I nostri padri fùrono più prodi che fortunati; e noi possiamo dire che la nostra generazione fu sìmile alle trapassate.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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