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      Il signor Crispi, il quale non ha maggior rispetto dei morti che dei vivi, non pensa che vi è un’ora terribile e sacra in cui l’uomo ha diritto di essere creduto: ed è quella in cui, faccia a faccia colla morte, spontaneamente cercata, l’uomo dice addio alla terra e rivela il segreto che gli stava sull’anima. In quell’ora anche un banchiere che preferisce la morte al disonore, ha più diritto certamente a esser creduto di un uomo politico che ha nel suo passivo documenti falsi e testimonianze false!
      E il barone Giacomo di Reinach, di cui Francesco Crispi afferma e si onora di essere stato l’avvocato, come di esserlo tuttora del figlio suo, il barone di Reinach, avrebbe la vigilia della sua morte inventato contro il suo avvocato difensore la perfidia infernale di distrarre dalle centinaia di migliaia di lire da lui spese in cause, proprio queste sole 50.000 lire, per farle comparire, esse sole, di compendio di uno affaraccio per Herz, e di un ricatto anziché di onesti onorari; e ciò per il solo gusto di infamare il suo proprio avvocato nell’andarsene all’altro mondo! E Francesco Crispi, calunniato a quel modo come avvocato del padre, avrebbe voluto esserlo ancora del figlio!
      Eh via, rispettiamo i morti, e la testimonianza suprema di chi sta in faccia alla morte.
      La parola è al suicida - a Giacomo di Reinach.
      Il foglio grande autografo, da lui scritto la vigilia della morte, (duplicato della nota mandata ad Herz), annesso come indice agli altri documenti, letto il 17 marzo nello studio del liquidatore Imbert, alla presenza dello stesso fratello del defunto, del deputato dell’inchiesta Dupuy-Dutemps, del notaio Perard, del giudice di pace e del suo cancelliere - consegnato quel dì stesso alla pubblicità nel suo testo autentico integrale, su cui non è più questione, e depositato presso il magistrato - reca in testa di tutto pugno del suicida, come tutto il rimanente, questa scritta: Somme consegnate da me a Herz in conseguenza del suo ricatto.


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Lettera agli onesti di tutti i partiti
di Felice Cavallotti
1895 pagine 82

   





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