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      Subito richiamatoci drento mi comandò che io non parlassi parola sotto pena della disgrazia loro, e che io ubbidissi di quello che condennato io ero. Cosí dandomi una gagliarda grida ci mandorno al cancelliere: io che borbottando sempre dicevo "ceffata fu e non pugno", in modo che ridendo gli Otto si rimasono. Il cancelliere ci comandò da parte del magistrato che noi ci dessimo sicurtà l'un l'altro, e me solo condennorno in quelle quattro staia della farina. A me che parve essere assassinato, non tanto ch'io mandai per un mio cugino, il quale si domandava maestro Anniballe cerusico, padre di messer Librodoro Librodori, volendo io che lui per me prommettessi. Il ditto non volse venire: per la qual cosa io sdegnato, soffiando diventai come uno aspido, e feci disperato iudizio. Qui si cognosce quanto le stelle non tanto ci inclinano, ma ci sforzano. Conosciuto quanto grande obrigo questo Anniballe aveva alla casa mia, m'accrebbe tanto còllora che, tirato tutto al male e anche per natura alquanto collerico, mi stetti a 'spettare che il detto ufizio degli Otto fussi ito a desinare: e restato quivi solo, veduto che nessuno della famiglia degli Otto piú a me non guardava, infiammato di còllora, uscito del Palazzo, corsi alla mia bottega, dove trovatovi un pugnalotto saltai in casa delli mia avversari, che a casa e a bottega istavano. Trova'gli a tavola, e quel giovane Gherardo, che era stato capo della quistione, mi si gettò a dosso: al cui io menai una pugnalata al petto, che il saio, il colletto insino alla camicia a banda a banda io li passai, non gli avendo tocco la carne o fattogli un male al mondo.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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