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      La Pantassilea si cacciò a fuggire in una chiesa quivi vicina. Quelli che erano a tavola, subito levatisi, tutti vennono alla volta mia, pregandomi che io non volessi disturbate né me né loro a causa di una puttana; ai quali io dissi, che per lei io non mi sarei mosso, ma sí bene per quello scellerato giovine, il quale dimostrava di stimarmi sí poco: e cosí non mi lasciai piegare da nessuna di quelle parole di quei virtuosi uomini da bene; anzi presi la mia spada e da me solo me ne andai in Prati; perché la casa dove noi cenavamo era vicina alla porta di Castello, che andava in Prati. Cosí andando alla volta di Prati, non istetti molto che, tramontato il sole, a lento passo me ne ritornai in Roma. Era già fatto notte e buio, e le porte di Roma non si serravano. Avvicinatosi a dua ore, passai da casa di quella Pantassilea, con animo, che, essendovi quel Luigi Pulci, di fare dispiacere a l'uno e l'altro. Veduto e sentito che altri non era in casa che una servaccia chiamata la Canida, andai a posare la cappa e il fodero della spada, e cosí me ne venni alla ditta casa, la quali era drieto a Banchi in sul fiume del Tevero. Al dirimpetto a questa casa si era un giardino di uno oste, che si domandava Romolo: questo giardino era chiuso da una folta siepe di marmerucole, innella quale cosí ritto mi nascosi, aspettando che la ditta donna venissi a casa insieme con Luigi. Alquanto soprastato, capitò quivi quel mio amico detto il Bachiacca, il quale o sí veramente se l'era immaginato, o gli era stato detto.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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