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      Se bene io gli promessi ubidirlo, pensò come persona savia, che se veniva il signor Orazio, sí per avergli io promesso e per altre cause, io non potrei mai mancare di non seguitare le cose della guerra; cosí con un bel modo pensò levarmi di Firenze, dicendo cosí: - O caro mio figliuolo, qui è la peste inistimabile, grande, e mi par tuttavia di vederti tornare a casa con essa; io mi ricordo, essendo giovane, che io me ne andai a Mantova, nella qual patria io fui molto carezzato, e ivi stetti parecchi anni. Io ti priego e comando, che per amor mio, piú presto oggi che domani, di qui ti lievi e là te ne vada.
     
      XL. Perché sempre m'è dilettato di vedere il mondo, e non essendo mai stato a Mantova, volentieri andai, preso que' danari che io avevo portati; e la maggior parte di essi ne lasciai al mio buon padre, prommettendogli di aiutarlo sempre dove io fussi, lasciando la mia sorella maggiore a guida del povero padre. Questa aveva nome Cosa, e non avendo mai voluto marito, era accettata monaca in Santa Orsola, e cosí soprastava per aiuto e governo del vecchio padre e per guida de l'altra mia sorella minore, la quale era maritata a un certo Bartolomeo scultore. Cosí partitomi con la benedizione del padre, presi il mio buon cavallo, e con esso me ne andai a Mantova. Troppe gran cose arei da dire, se minutamente io volessi scrivere questo piccol viaggio. Per essere il mondo intenebrato di peste e di guerra, con grandissima difficultà io pur poi mi condussi alla ditta Mantova; innella quale giunto che io fui, cercai di cominciare a lavorare; dove io fui messo in opera da un certo maestro Nicolò milanese, il quale era orefice del Duca di detta Mantova.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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