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      Questo mio cane faceva tanta forza di volere sbranare quel giovane, che, mosso i birri a compassione, massimamente il giovane audace difendeva bene le sue ragione, e quel Donnino non diceva tanto che bastassi, maggiormente essendovi un di quei caporali de' birri, ch'era genovese e conosceva il padre di questo giovane; in modo che, fra il cane e quest'altre occasione, facevan di sorte che volevan lasciar andar via quel giovane a ogni modo. Accostato che io mi fui, il cane, non cognoscendo paura né di spada né di bastoni, di nuovo gittatosi adosso a quel giovane, coloro mi dissono che se io non rimediavo al mio cane, me lo ammazzerebbono. Preso il cane il meglio che io potevo, innel ritirarsi il giovane in su la cappa, gli cadde certe cartuzze della capperuccia; per la qual cosa quel Donnino ricognobbe esser cose sue. Ancora io vi ricognobbi un piccolo anellino; per la qual cosa subito io dissi: - Questo è il ladro che mi sconfisse e rubò la mia bottega; però il mio cane lo ricognosce - e lasciato il cane, di nuovo si gli gettò adosso; dove che il ladro mi si raccomandò, dicendomi che mi renderebbe quello che aveva di mio. Ripreso il cane, costui mi rese d'oro e di argento e di anelletti quel che gli aveva di mio, e venticinque scudi da vantaggio; di poi mi si raccomandò. Alle quali parole io dissi, che si raccomandassi a Dio, perché io non gli farei né ben né male. E tornato alle mie faccende, ivi a pochi giorni quel Céseri Macherone delle monete false fu impiccato in Banchi dinanzi alla porta della zecca; il compagno fu mandato in galea; il ladro genovese fu impiccato in Campo di Fiore; e io mi restai in maggior concetto di uomo da bene che prima non ero.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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