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      Giunto che io fui, appresso a me montava un bravissimo giovane mio servitore con un gran partigianone in mano: in modo che noi, l'arm'e il sangue, messe tanto terrore a quei poveri gentili uomini, massimamente per esser quel luogo un nidio di assassini; rizzatisi da tavola, pregorno Idio, con grande spavento, che gli aiutassi. Ai quali io dissi ridendo, che Idio gli aveva aiutati, e che io ero uomo per difendergli da chi gli volesse offendere; e chiedendo a loro qualche poco di aiuto per fasciar la mia mana, quella bellissima gentil donna prese un suo fazzoletto riccamente lavorato d'oro, volendomi con esso fasciare: io non volsi: subito lei lo stracciò pel mezzo, e con grandissima gentilezza di sua mano mi fasciò. Cosí assicuratisi alquanto, desinammo assai lietamente. Di poi il desinare montammo a cavallo, e di compagnia ce ne andavamo. Non era ancora assicurata la paura; ché quelli gentili uomini astutamente mi facevano trattenere a quella gentildonna, restando alquanto indietro: e io a pari con essa me ne andavo in sun un mio bel cavalletto, accennato al mio servitore che stessi un poco discosto da me; in modo che noi ragionavamo di quelle cose che non vende lo speziale. Cosí mi condussi a Roma col maggior piacere che io avessi mai.
      Arrivato che io fui a Roma, me ne andai a scavalcare al palazzo del cardinale de' Medici; e trovatovi Sua Signoria reverendissima, gli feci motto, e lo ringraziai de l'avermi fatto tornare. Di poi pregai Sua Signoria reverendissima, che mi facessi sicuro dal carcere, e se gli era possibile ancora della pena pecuniaria.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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