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      Quelli ch'erano meco, giovani bravi e volontoriosi, accennatomi che io dovessi metter mano, alla qual cosa subito considerai, che se io mettevo mano alla spada, ne sarebbe seguito qualche grandissimo danno in quelli che non vi avevano una colpa al mondo; però giudicai che e' fussi il meglio, che io solo mettessi a ripintaglio la vita mia. Soprastato che Pompeo fu del dir dua Avemarie, con ischerno rise inverso di me; e partitosi, quelli sua anche risono scotendo il capo; e con simili atti facevano molte braverie: quelli mia compagni volson metter mano alla quistione; ai quali io adiratamente dissi, che le mie brighe io ero uomo da per me a saperle finire, che io non avevo bisogno di maggior bravi di me; sí che ognun badassi al fatto suo. Isdegnati quelli mia amici si partirno da me brontolando. In fra questi era il piú caro mio amico, il quale aveva nome Albertaccio del Bene, fratel carnale di Alessandro e di Albizzo, il quale è oggi in Lione grandissimo ricco. Era questo Albertaccio il piú mirabil giovane che io cognoscessi mai, e il piú animoso, e a me voleva bene quanto a sé medesimo; e perché lui sapeva bene che quello atto di pazienzia non era stato per pusillità d'animo, ma per aldacissima bravuria, che benissimo mi conosceva, e replicato alle parole, mi pregò che io gli facessi tanta grazia di chiamarlo meco a tutto quel che io avessi animo di fare. Al quale io dissi: - Albertaccio mio, sopra tutti gli altri carissimo; ben verrà tempo che voi mi potrete dare aiuto; ma in questo caso, se voi mi volete bene, non guardate a me, e badate al fatto vostro, e levatevi via presto sí come hanno fatto gli altri, perché questo non è tempo da perdere -. Queste parole furno dette presto.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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