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      Ebbi li danari da Nicolò, e andai a casa per il Tribolo, il quale era in ordine; e mi disse se io avevo legato la spada. Io li dissi che chi era a cavallo per andare in viaggio non doveva legar le spade. Disse che in Firenze si usava cosí, perché v'era un certo ser Maurizio, che per ogni piccola cosa arebbe dato della corda a San Giovanbatista; però bisognava portar le spade legate per insino fuor della porta. Io me ne risi, e cosí ce ne andammo. Accompagnammoci con il procaccia di Vinezia, il quale si chiamava per sopra nome Lamentone: con esso andammo di compagnia, e passato Bologna una sera in fra l'altre arrivammo a Ferrara; e quivi alloggiati a l'osteria di Piazza, il detto Lamentone andò a trovare alcuno de' fuora usciti, a portar loro lettere e imbasciate da parte della loro moglie: che cosí era di consentimento del Duca, che solo il procaccio potessi parlar loro, e altri no, sotto pena della medesima contumazia in che loro erano. In questo mezzo, per essere poco piú di ventidua ore, noi ce ne andammo, il Tribulo e io, a veder tornare il duca di Ferrara, il quale era ito a Belfiore a veder giostrare. Innel suo ritorno noi scontrammo molti fuora usciti, e' quali ci guardavano fiso, quasi isforzandoci di parlar con esso loro. Il Tribolo, che era il piú pauroso uomo che io cognoscessi mai, non cessava di dirmi: - Non gli guardare e non parlare con loro, se tu vuoi tornare a Firenze -. Cosí stemmo a veder tornare il Duca; di poi tornaticene a l'osteria, ivi trovammo Lamentone.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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