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      Restai creditore della zecca, di fatture di mie ferri, di piú di settanta scudi.
     
      LXXXII. Me ne andai a Roma, e meco ne portai quel bellissimo archibuso a ruota che mi aveva donato il Duca, e con grandissimo mio piacere molte volte lo adoperai per via, faccendo con esso pruove inistimabile. Giunsi a Roma; e perché io tenevo una casetta in istrada Iulia, la quale non essendo in ordine, io andai a scavalcare a casa di messer Giovanni Gaddi cherico di Camera, al quale io avevo lasciato in guardia al mio partir di Roma molte mie belle arme e molte altre cose che io avevo molte care. Però io non volsi scavalcare alla bottega mia; e mandai per quel Filice mio compagno, e fècesi mettere in ordine subito quella mia casina benissimo. Dipoi l'altro giorno vi andai a dormir drento, per essermi molto bene messo in ordine di panni e di tutto quello che mi faceva mestiero, volendo la mattina seguente andare a visitare il Papa per ringraziarlo. Avevo dua servitori fanciulletti, e sotto alla casa mia ci era una lavandara, la quale pulitissimamente mi cucinava. Avendo la sera dato cena a parecchi mia amici, con grandissimo piacere passato quella cena, me ne andai a dormire; e non fu sí tosto apena passato la notte, che la mattina piú d'un'ora avanti il giorno io senti' con grandissimo furore battere la porta della casa mia, ché l'un colpo non aspettava l'altro. Per la qual cosa io chiamai quel mio servitor maggiore, che aveva nome Cencio: era quello che io menai nel cerchio di negromanzia: dissi che andassi a vedere chi era quel pazzo che a quell'ora cosí bestialmente picchiava.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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