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      LXXXIX. Montai a cavallo, venivamo sollecitamente alla volta di Roma. Arrivati che noi fummo in un certo poco di rialto, era di già fatto notte, guardando in verso Firenze tutti a dua d'accordo movemmo gran voce di maraviglia, dicendo: - Oh Dio del cielo, che gran cosa è quella che si vede sopra Firenze? - Questo si era com'un gran trave di fuoco, il quale scintillava e rendeva grandissimo splendore. Io dissi a Filice: - Certo noi sentiremo domane qualche gran cosa sarà stata a Firenze -. Cosí venuticene a Roma, era un buio grandissimo: e quando noi fummo arrivati vicino a Banchi e vicino alla casa nostra, io avevo un cavalletto sotto, il quale andava di portante furiosissimo, di modo che, essendosi el dí fatto un monte di calcinacci e tegoli rotti nel mezzo della strada, quel mio cavallo non vedendo il monte, né io, con quella furia lo salse, di poi allo scendere traboccò, in modo che fare un tombolo: si messe la testa in fra le gambe; onde io per propria virtú de Dio non mi feci un male al mondo. Cavato fuora e' lumi da' vicini a quel gran romore, io, ch'ero saltato in piè, cosí, sanza montare altrimenti, me ne corsi a casa ridendo, che avevo scampato una fortuna da rompere il collo. Giunto a casa mia, vi trovai certi mia amici, ai quali, in mentre che noi cenavamo insieme, contavo loro le istrettezze della caccia e quella diavoleria del trave di fuoco che noi avevamo veduto: e' quali dicevano: - Che domin vorrà significar cotesto? - Io dissi: - Qualche novità è forza che sia avvenuto a Firenze -. Cosí passatoci la cena piacevolmente, l'altro giorno al tardi venne la nuova a Roma della morte del duca Lessandro.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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