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      Veduto che io non potevo uscir di quivi, mi dava grandissimo dispiacere. In mentre che io andavo innanzi e indietro pensando ai fatti mia, detti dei piedi in una gran pertica, la quale era coperta dalla paglia. Questa con gran difficultà dirizzai a quel muro; di poi a forza di braccia la salsi insino in cima del muro. E perché quel muro era tagliente, io non potevo aver forza da tirar sú la ditta pertica; però mi risolsi a 'piccare un pezzo di quelle fascie, che era l'altro fuso, perché uno de' dua fusi io l'avevo lasciato attaccato al mastio del Castello: cosí presi un pezzo di quest'altra fascia, come ho detto, e legatala a quel corrente, iscesi questo muro, il qual mi dette grandissima fatica e mi aveva molto istracco, e di piú avevo iscorticato le mane per di drento, che sanguinavano; per la qual cosa io m'ero messo a riposare, e mi avevo bagnato le mane con la mia orina medesima. Stando cosí, quando e' mi parve che le mie forze fussino ritornate, salsi all'ultimo procinto delle mura, che guarda in verso Prati; e avendo posato quel mio fuso di fascie, col quale io volevo abbracciare un merlo, e in quel modo che io avevo fatto innella maggior altezza, fare in questa minore; avendo, come io dico, posato la mia fascia, mi si scoperse adosso una di quelle sentinelle che facevano la guardia. Veduto impedito il mio disegno, e vedutomi in pericolo della vita, mi disposi di affrontare quella guardia; la quale, veduto l'animo mio diliberato e che andavo alla volta sua con armata mano, sollecitava il passo, mostrando di scansarmi.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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