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      Per questo io stavo in su l'onorevole, e, come uomo che ha ragione, iscrivevo rigorosamente, quale era il maggior piacere che potevano avere quei dua traditori mia allevati: perché io mi vantavo, scrivendo loro, delle gran carezze che m'era fatte nella patria mia da un Signore e da una Signora, assoluti patroni della città di Firenze, mia patria. Come eglino avevano una di queste cotal lettere, andavano dal Re e strignevano Sua Maestà a dar loro il mio castello, in quel modo che l'aveva dato a me. Il Re, qual era persona buona e mirabile, mai volse acconsentire alle temerarie dimande di questi gran ladroncelli, perché si era cominciato a 'vedere a quel che loro malignamente espiravano: e per dar loro un poco di speranza e a me occasione di tornar subito, mi fece iscrivere alquanto in còllora da un suo tesauriere, che si dimandava messer Giuliano Buonaccorsi, cittadino fiorentino. La lettera conteneva questo: che, se io volevo mantenere quel nome de l'uomo da bene che io v'avevo portato, da poi che io me n'ero partito sanza nessuna causa, ero veramente ubrigato a render conto di tutto quello che io avevo maneggiato e fatto per Sua Maestà. Quando io ebbi questa lettera, mi dette tanto piacere, che a chiedere a lingua, io non arei domandato né piú né manco. Messomi a scrivere, empie' nove fogli di carta ordinaria; e in quegli narrai tritamente tutte l'opere che io avevo fatte e tutti gli accidenti che io avevo aúti in esse, e tutta la quantità de' denari che s'erano ispesi in dette opere, i quali tutti s'erano dati per mano di dua notari e d'un suo tesauriere, e sottoscritti da tutti quelli proprii uomini che gli avevano aúti, i quali alcuno aveva dato delle robe sue e gli altri le sue fatiche; e che di essi danari io non m'ero messo un sol quattrino in borsa, e che delle opere mie finite io non avevo aùto nulla al mondo; solo me ne avevo portato in Italia alcuni favori e promesse realissime, degne veramente di Sua Maestà. E se bene io non mi potevo vantare d'aver tratto nulla altro delle mie opere, che certi salari ordinatimi da Sua Maestà per mio trattenimento, e di quelli anche restavo d'avere piú di settecento scudi d'oro, i quali apposta io lasciai, perché mi fussino mandati per il mio buon ritorno; - però, conosciuto che alcuni maligni per propia invidia hanno fatto qualche malo uffizio, la verità ha a star sempre di sopra: io mi glorio di Sua Maestà cristianissima, e non mi muove l'avarizia.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
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