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      Andai a trovare Michelagnolo Buonaroti e gli replicai quella lettera che di Firenze io gli avevo scritto da parte del Duca. Egli mi rispose che era impiegato nella fabbrica di San Piero, e che per cotal causa ei non si poteva partire. Allora io gli dissi, che da poi che e' s'era resoluto al modello di detta fabbrica, che ei poteva lasciare il suo Urbino, il quale ubbidirebbe benissimo quando lui gli ordinassi; e aggiunsi molte altre parole di promesse; dicendogliele dapparte del Duca. Egli subito mi guardò fiso, e sogghignando disse: - E voi come state contento seco? - Se bene io dissi che stavo contentissimo, e che io ero molto ben tratto, ei mostrò di sapere la maggior parte dei mia dispiaceri; e cosí mi rispose ch'egli sarebbe difficile il potersi partire. Allora io aggiunsi che ci farebbe 'l meglio a tornare alla sua patria, la quale era governata da un Signore giustissimo e il piú amatore delle virtute che mai altro Signore che mai nascessi al mondo. Sí come di sopra ho detto, gli aveva seco un suo garzone, che era da Urbino, il quale era stato seco di molti anni e lo aveva servito piú di ragazzo e di serva che d'altro: e il perché si vedeva, che 'l detto non aveva imparato nulla dell'arte; e perché io avevo stretto Michelagnolo con tante buone ragione, che e' non sapeva che dirsi subito, ei si volse al suo Urbino con un modo di domandarlo quel che gnele pareva. Questo suo Urbino subito, con un suo villanesco modo, co' molta gran voce cosí disse: - Io non mi voglio mai spiccare dal mio messer Michelagnolo, insino o che io scorticherò lui o che lui scorticherà me -. A queste sciocche parole io fui sforzato a ridere, e senza dirgli addio, colle spalle basse mi volsi, e parti' mi.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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