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      LXXXVI. Egli era alla guardia della porta al Prato un capitano lombardo: questo si era uno uomo di terribil forma robusta, e con parole molto villane; ed era prosuntuoso e ignorantissimo. Questo uomo subito mi cominciò a domandare quel che io volevo fare; al quale io piacevolmente gli mostrai i mia disegni, e con strema fatica gli davo addintendere il modo che io volevo tenere. Or questa villana bestia ora scoteva 'l capo, e ora e' si voggeva in qua e ora in là, mutando spesso 'l posar delle gambe, artorcigliandosi i mostacci della barba, che gli aveva grandissimi, e spesso ci si tirava la piega della berretta in su gli occhi dicendo spesso: - Maidè, cancher! Io nolla intendo questa tua fazenda -.Di modo che, essendomi questa bestia venuto annoi', dissi: - Or lasciatela addunche fare a me, che la 'ntendo - e voltandogli le spalle per andare al fatto mio, questo uomo cominciò minacciando col capo; e colla man mancina, mettendola in su 'l pomo della sua spada, gli fece alquanto rizzar la punta, e disse: - Olà, mastro, tu vorrai che io facci quistion teco al sangue -. Io me gli volsi con grande còllora, perché e' mi aveva fatto adirare, e dissi: - E' mi parrà manco fatica il far quistione con esso teco,che il fare questo bastione a questa porta -. A un tratto tutt'a dua mettemmo le mani in su le nostre spade, e nolle sfoderammo affatto, che subito si mosse una quantità di uomini dabbene, sí de' nostri Fiorentini e altri cortigiani; e la maggior parte sgridorno lui dicendogli che gli aveva 'l torto, e che io ero uomo da rendergli buon conto, e che se 'l Duca lo sapessi, che guai a lui.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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