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      E maggiormente infine si rammarica di questo il Tambroni, perchè se il Vasari avesse considerato bene quel capitolo, non avrebbe così facilmente dato il merito della pittura a olio agli stranieri. Ma della poca ragione di tale suo lamento, si può giudicare da quel che abbiamo detto di sopra, esaminando siffatta questione. Ciò non pertanto, concediamo al Tambroni che il Vasari non abbia letto per disteso, nè con molta attenzione, il libro di Cennino; del che ci porge egli stesso la seguente ragione (certo a’ suoi tempi plausibilissima), che di molti de’ suoi avvertimenti egli non stimava doversi ragionare, essendo oggi notissime tutte quelle cose che costui ebbe per gran segreti e rarissime in quei tempi.17
      Sul finire del passato secolo, monsignor Bottari scriveva: «Sarebbe cosa assai utile che il costui libro (del Cennini) fusse mandato in luce; dacchè nella toscana favella abbiamo tanti pochi scrittori dell’arte, rispetto a’ Greci.»18 Queste parole svegliarono in Giuseppe Tambroni grande desiderio di conoscere l’opera del Cennini; la quale, letta che ebbe e parutagli d’importanza grandissima, mise in luce per le stampe in Roma nel 1821.
      Egli si giovò di un codice vaticano, rinvenuto da monsignor Angiolo Mai tra quelli della Ottoboniana, segnato di numero 2974, il quale dallo stemma che ha dentro, apparisce essere stato nel possesso del barone di Stosch. Esso è copia moderna, recando segnato in fronte le iniziali P. A. W., dalle quali pare si possa arguire che il suo copista non fosse italiano.


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Il libro dell'arte
o Trattato della pittura
di Cennino Cennini
Le Monnier Firenze
1859 pagine 275

   





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