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      Non gli andavano gran fatto a sangue le ferite che dava e riceveva don Belianigi, pensando che di buon diritto nella faccia e in tutta la persona avessero ad essergli rimaste impresse e vestigia e cicatrici, per quanto accuratamente foss'egli stato guarito; ma nondimeno lodava altamente l'autore perché chiudeva il suo libro con la promessa di quella interminabile avventura. Fu anche stimolato le molte volte dal desiderio di dar di piglio alla penna per compiere quella promessa; e senz'altro l'avrebbe fatto giungendo allo scopo propostosi dal suo modello; se distratto non l'avessero più gravi ed incessanti divisamenti. Ebbe a quistionar più volte col curato della sua terra (uomo di lettere e addottorato in Siguenza) qual fosse stato miglior cavaliere o Palmerino d'Inghilterra, o Amadigi di Gaula; era peraltro d'avviso mastro Nicolò, barbiere di quel paese, che niuno al mondo contender potesse il primato al cavaliere del Febo, e che se qualcuno poteva competer con lui, questi era solo don Galeorre fratello di Amadigi di Gaula, da che nulla fu mai d'inciampo alle sue ardite imprese; e non era sì permaloso e piagnone come il fratello, a cui poi non cedeva sicuramente in valore. In sostanza quella sua lettura lo portò siffattamente all'entusiasmo da non distinguere più la notte dal dì, il dì dalla notte; di guisa che pel soverchio leggere e per il poco dormire gli s'indebolì il cervello, e addio buon giudizio. Altro non presentavasi alla sua immaginazione che incantamenti, contese, battaglie, disfide, ferite, concetti affettuosi, amori, affanni ed impossibili avvenimenti: e a tal eccesso pervenne lo stravolgimento della fantasia, che niuna storia del mondo gli pareva più vera di quelle ideate invenzioni che andava leggendo.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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