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      In fine passarono quella notte in mezzo agli alberi, da uno dei quali staccò don Chisciotte un ramo secco, che gli potea in qualche modo servire di lancia, appiccandovi il ferro di quella spezzata che gli era rimasto. Non dormì in tutta la notte un momento solo, tenendo sempre il pensiero alla sua signora Dulcinea per non iscostarsi un puntino da ciò che aveva letto nei libri suoi, che i cavalieri passassero le notti vegliando nelle foreste e nei deserti, trattenendosi colla memoria delle loro signore. Non la passò però in questo modo lo scudiero Sancio Pancia, che avendo lo stomaco pieno e non già d'acqua di cicoria, consumò la notte intiera, in un sonno solo, e se il suo padrone non lo avesse chiamato, non lo avrebbero potuto svegliare i raggi del sole che lo ferivano nel viso, né il canto dei molti uccelli che giocondamente salutavano il nascere del nuovo giorno. Nell'alzarsi stese la mano alla sua borraccia, e trovandola assai più leggiera di prima se ne afflisse molto, sembrandogli che la strada allora battuta non dovesse condurlo sì tosto dove poter di nuovo riempirla. Don Chisciotte non volle assaggiar nulla, perché, come s'è detto, erasi già pasciuto delle dolci rimembranze della sua diva.
      Ripigliarono quindi la strada di Porto Lapice, ed alle ventitré ore lo scoprirono. "Qui, disse don Chisciotte nello scorgerlo, qui, Sancio Pancia, fratello mio, possiamo attenderci venture a dovizie e di ogni nostra soddisfazione; ma sta bene avvertito che per quanto tu mi vegga in pericolo, non dei metter mano alla spada in mia difesa, salvo se vedessi chiaramente che fosse canaglia o gente vile quella che mi assalisse; in tal caso tu puoi darmi aiuto; ma se fossero cavalieri non ti è lecito né concesso a verun patto immischiarti, vietandolo le leggi della cavalleria sino a tanto che tu pure non sarai armato cavaliere.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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