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      Quello che più di tutto mi pesava sul cuore non era già la fame o la nudità da cui quasi sempre eravamo tutti travagliati, ma sibbene l'essere testimonio continuamente alle non più vedute e inaudite crudeltà che si esercitavano dal padrone contro i Cristiani. Ogni giorno ne faceva appiccar qualcheduno, un altro impalare, ed un altro tagliar gli orecchi, e tutto ciò per cause di sì lieve momento e così fuor di ragione che dicevano i turchi stessi essere ciò per suo capriccio, e non per altro che per covar anima di fiera a danno del genere umano. La indovinò con costui un solo soldato spagnuolo chiamato Saavedra, il quale benché avesse fatto cose che rimarranno lungamente scolpite nella memoria di quelle genti per riacquistare la sua libertà, non gli diede, né mai dar gli fece un colpo di bastone, né gli disse mai un'aspra parola; anche pel più leggiero de' suoi mancamenti noi avevamo gran timore che lo facesse impalare: timore da cui era colto egli pure. Se il tempo non mancasse io potrei contarvi molte imprese di questo soldato che vi desterebbero maraviglia: ma bisogna pur ch'io continui il mio racconto.
      Vi dirò pertanto che le finestre di un ricco Moro riuscivano sopra il cortile della nostra prigione, e potevano (come d'ordinario sono quelle dei Mori) piucché finestre chiamarsi pertugi; tuttavia erano fornite d'inferriate grosse e strettissime. Accadde che un giorno mentre io stava in una loggia della nostra prigione con altri tre compagni esercitandoci a saltare colle catene per ingannare il tempo, ed eravamo soli per essere gli altri Cristiani al lavoro, alzando per caso gli occhi, vidi che sporgeva in fuori da quelle sì strette inferriate una canna, a capo di cui stava legato un pannilino; e la canna dimenavasi e movevasi quasi invitando di andare a pigliarla.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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