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      Sieno le tue prodezze medesime quelle che ti dieno lode, o valoroso mancego, ché io qui le lascio mancandovi le parole atte a magnificarle.»
      Qui faceva punto la riferita apostrofe dell'autore, e passava poi innanzi ripigliando il filo dell'istoria e dicendo che il lionero veduto don Chisciotte già in positura, e che gli era pur forza lasciar libera l'uscita al leone maschio, se non voleva cadere nella indegnazione del pazzo ed ardimentoso cavaliere, spalancò a dirittura la prima gabbia dove stava rinchiuso.
      Il leone comparve di straordinaria grandezza e di spaventevole aspetto. La prima cosa ch'e' fece, fu rivoltolarsi per la gabbia dove giacea, distendere le zanne e stirarsi tutto; spalancò poscia la bocca e sbadigliò lungamente buttando fuora quasi due palmi di lingua; si fregò gli occhi, si lavò il muso e fatto questo, pose la testa fuori della gabbia e guardò d'ogni intorno con un paio d'occhi che sembravano brace di fuoco: guardatura e gesti da spaventare la stessa temerità. Ma don Chisciotte non si ritrasse, bramando che ormai saltasse giù dal carro, e venisse seco alle mani colle quali facea disegno di sbranarlo in mille pezzi. A sì alto eccesso giunse quella sua non mai vista pazzia! Ma il generoso leone, più prudente che arrogante, nulla curandosi di puerilità e di bravate, dopo avere guardato in qua, in là, come si è detto, voltò le spalle e presentò a don Chisciotte la parte deretana, e con grande quiete e tranquillità si rimise in gabbia.
      Vedutosi questo da don Chisciotte comandò al lionero che gli desse delle bastonate, e lo irritasse per cavarnelo fuori di nuovo.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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