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      Piacque soprattutto a don Chisciotte il mirabile silenzio che regnava in quell'abitazione, la quale rassomigliarsi poteva ad un convento di Certosini.
      Sparecchiata la tavola, rese a Dio grazie, e data l'acqua alle mani, don Chisciotte pregò con viva istanza don Lorenzo che gli recitasse i versi della giostra letteraria. Cui rispos'egli:
      - Per parere di quei poeti che negano di far sentire i loro versi a chi li prega, poi quando non sono pregati ce li vengono a far sentire per forza, dirò la mia glosa, composta non con pretensione di lode, ma soltanto per esercizio d'ingegno.
      - Un mio amico ed assennato uomo portava opinione, rispose don Chisciotte, che nessuno dovesse sudare in far glose ai versi, per la ragione, diceva egli, che la glosa non poteva mai valere il testo, e il più delle volte si scostava dall'intenzione e dal proposito di quello su cui essa cadeva. Diceva ancora che le leggi della glosa erano troppo limitate, perché non ammettevano interrogazioni, né disse né dirò, né far nomi dei verbi, né cangiare senso, con altre legature e strettezze cui trovansi i glosatori obbligati, come vossignoria dee sapere molto bene.
      - Veramente, signor don Chisciotte, rispose don Lorenzo, io vorrei cogliervi in un mal latino, ma non ci riesco poiché mi guizzate di mano come un'anguilla.
      - Non comprendo, rispose don Chisciotte, quello che vuol dire vossignoria, né che cosa s'intenda con questo guizzare.
      - Mi spiegherò a suo tempo, rispose don Lorenzo, e per ora presti attenzione la signoria vostra ai versi glosati ed alla glosa.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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