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      Uscì il duca ad aiutarla a smontare, ed all'entrare in un ampio cortile comparvero due vaghe donzelle che misero sulle spalle di don Chisciotte un gran manto di scarlatto finissimo, dopo di che i corridoi del cortile si riempirono in un baleno di servi e di serve che andavano sclamando: Sia ben venuto il fiore purissimo dei cavalieri erranti! Tutti o quasi tutti spruzzavano di acque odorose le vesti di don Chisciotte e quelle dei duchi, delle quali cerimonie rimaneva don Chisciotte stupefatto; e fu quello il giorno in cui veramente terminò di persuadersi di essere cavaliere errante in tutta la pienezza della parola, vedendosi trattare alla foggia stessa che aveva letto usarsi cogli erranti cavalieri degli andati secoli. Sancio abbandonato l'asino, si accostò alla duchessa, ed entrò nel castello: ma rimordendogli la coscienza di avere lasciata sola la bestia, accostossi ad un'attempata e reverenda matrona che unitamente alle altre era uscita incontro alla duchessa, e sotto voce le disse:
      - Signora mia reverenda, come si chiama la grazia della vostra signoria?
      - Io mi chiamo donna Rodrighez di Criscialva, rispose la matrona; e che bramate, o fratello?»
      Cui Sancio:
      - Vorrei un piacere da vossignoria, ed è che andasse alla porta del castello dove troverà l'asino leardo mio, e ordinasse che fosse tosto messo in istalla, perché la povera bestia è piuttosto paurosa, e male si adatta a star sola.
      - Se il padrone è sì discreto come il servitore, disse tra sé la matrona, noi siamo conciate pel dì delle feste!


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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