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      Uno studente che ivi per caso trovavasi, veduto Sancio, disse:
      - Tutti i pessimi governatori meritano di essere cacciati via e di uscire dai loro governi siccom'esce per appunto questo tapino dal profondo dell'abisso, morto di fame, scolorito, ed a quanto ne giudico, senza un maravedis.»
      Lo udì Sancio, e rispose:
      - Fratello mormoratore, sono otto o dieci giorni ch'entrai a governar l'isola che mi affidarono, nei quali giorni non mi vidi un'ora satollo di pane non che di altro. I medici mi hanno perseguitato, i nemici mi pestarono le ossa, mi è mancato il tempo di prendere nemmeno i danari che di ragione mi erano dovuti: se questo è vero, com'è verissimo, io non meritavo, mi pare, di uscirne a questa maniera: ma l'uomo pone e Dio dispone, ed egli sa meglio; e secondo i tempi conviene governarsi; e non vi sia chi dica: Non berrò di quest'acqua: che dove si pensa che stia carne secca, non sono nemmeno le stanghe per attaccarla; e Dio m'intende, e basta, né vado innanzi, tuttoché lo potrei.
      - Non adirarti, disse don Chisciotte, o Sancio, né t'infastidiscano le altrui ciarle; ché non si finirebbe mai; tieni la coscenza netta, e lascia gracchiare, mentre il voler legare la lingua ai maldicenti egli è come voler chiudere con porte una campana. Se un governatore esce ricco dal suo governo dicono subito ch'è stato ladro, se n'esce povero, che fu scimunito.
      - Sono d'opinione, rispose Sancio, che mi abbiano da giudicare piuttosto balordo che ladro.»
      Con questi discorsi, e seguiti da una folla di ragazzi e di altra gente accorsa, giunsero al castello, dove il duca e la duchessa stavano aspettando don Chisciotte e Sancio.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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