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      In fine sono uscito dall'isola senza che verun altro mi accompagni, dal mio leardo infuori; e sono precipitato dentro una caverna, per la quale andai camminando sino a che questa mattina mediante un raggio di sole, vidi per dove si usciva. Questa escita non mi sarebbe stata possibile, ma il Cielo mi ha parato innanzi per ignote strade il mio signor don Chisciotte, senza il quale sarei forse rimasto nell'antro sino alla fine del mondo. Ora dunque, miei signori duca e duchessa, voi vi vedete davanti il vostro governatore Sancio Pancia che in dieci giorni di governo non ha fatto altro guadagno se non quello di conoscere che non deve importargli un fico di essere governatore, non dico solo di un'isola, ma né anche di tutta la terra. E ciò posto, e baciando i piedi alle signorie vostre, e facendo come i ragazzi al giuoco, che dicono: Salta tu e dammelo tu; io do un salto dal governo, e me ne passo al servigio del mio signor don Chisciotte. È vero che anche con lui mangio il pane con disagio e con batticuore, ma finalmente poi mi cavo la fame; e quando sono sazio, tanto m'importa che sieno carote, come starne o pernici.
      Così terminò la diceria di Sancio, non senza paura di don Chisciotte che non desse in migliaia di spropositi: però quando lo udì giunto al fine senza averne detti molti, ringraziò Dio. Il duca abbracciò Sancio, e gli disse che dispiacevagli sino all'anima che avesse rinunziato troppo presto al governo, ma che metterebbe ogni opera perché gli venisse assegnato altro officio di minor conseguenza e di maggior lucro.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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